Le donne leggono in un altro modo

 

 

 

 

 

I libri hanno un effetto diverso sulle donne piuttosto che sugli uomini. Questo non dovrebbe essere un tema spinoso. Tuttavia le femministe temono che un’affermazione di questo tipo metta in discussione il gusto e la facoltà di pensiero femminili e i loro avversari temono un nuovo attacco al canone letterario. Eppure: da molto tempo abbiamo imparato dall’estetica della ricezione che la parola, il testo, il romanzo o la poesia non sono una cosa a sé stante, il cui significato immanente si rende accessibile senza riserve ai fiduciosi lettori e rimane sempre uguale. Ognuno e ognuna di noi legge in un altro modo, come nessuna vita è identica a un’altra e come la comprensione del mondo di ogni uomo e di ogni donna si distingue da qualsiasi altra.

É per noi cosa ovvia riuscire a leggere un romanzo giapponese con minore immedesimazione che, diciamo, ‘Effi Briest’ di Fontane, per quanto l’esotismo dell’opera giapponese contribuisca al piacere della lettura. La persona del luogo legge con meno stupore, in compenso in maniera più critica e precisa, dunque in un altro modo. Così ci sono, anche all’interno della stessa cultura, differenze che influenzano la comprensione scritta così come ce ne sono tra i ceti o le classi sociali, che tuttavia in una democrazia si attenuano sempre di più. Di contro rimangono evidenti le differenze tra i sessi, tanto quelle relative alla socializzazione quanto quelle biologiche. Come dovrebbe essere altrimenti se non che donne e uomini, i quali vivono per lo più in modo diverso e vengono educati (sì, tuttora perfino in Occidente) con diverse aspettative, leggano in un altro modo?

Ci sono testi puramente oggettivi che significano la stessa cosa per entrambi i sessi. Gli orari dei mezzi di trasporto, per esempio. Davanti alle tabelle di arrivo e partenza dei treni l’essere umano diventa androgino. Tuttavia già nei manuali d’uso entrano in gioco le differenze. Così le istruzioni nei libri di cucina sono lette con più entusiasmo dalla maggioranza delle donne piuttosto che le istruzioni per cambiare uno pneumatico. Ciò non ci deve condurre all’errata conclusione che le donne mangino più degli uomini e che sappiano a malapena guidare, ma dipende dal fatto che le donne pensano di riuscire meglio nell’eseguire le istruzioni del primo manuale piuttosto che quelle del secondo. Le eccezioni confermano la regola. Soprattutto le eccezioni sono molto sicure di se stesse, a cominciare da quelle ragazzine che preferiscono fare esperimenti di chimica piuttosto che cucire vestitini alle bambole, fino ad arrivare in età adulta alle meccaniche di professione. Tutte loro si avvicinano alla materia con questa consapevolezza di diversità rispetto ai loro compagni di gioco o colleghi maschi. Ora state pensando sicuramente che queste confusioni siano frutto di apprendimento e che si possa rieducare la gente. Giusto. Se ne parlerà anche più avanti di come cambiare il modo di pensare. Qui si tratta per il momento del fatto che persino testi oggettivi incontrano reazioni specifiche diverse nei due sessi. Io però voglio parlare in primis di letteratura, di belle lettere, voglio parlare di testi che riguardano l’umano.

Una simile limitazione delle belle lettere all’umano è contestabile, poiché esistono testi di letteratura colta, particolarmente nella poesia lirica, che si avvicinano così tanto alla musica che in essi la lingua acquisisce per così dire una propria autonomia e perde il contatto con la realtà, come accade anche nella pittura astratta. La reazione a questi testi è probabilmente quella meno influenzata dalle differenze di genere.

Esiste però anche una teoria letteraria che concepisce tutta la letteratura come riferita solo alla lingua e riserva lo stesso trattamento a una tarda poesia di Celan e a un romanzo storico intento a interpretare il passato, prendendosi gioco di noi se ci occupiamo in modo approfondito dei contenuti. Una tale teoria letteraria rifiuta considerazioni che non siano estetiche, per esempio quelle morali, giudicandole come non letterarie e perciò inammissibili. In particolare il bisogno del lettore di identificarsi nella prosa narrativa non è particolarmente quotato oggigiorno e ci viene presentato come lo stadio infantile di una lettura matura e critica. Vorrei però suggerire che questa necessità solo apparentemente infantile non ci abbandona mai e non deve neanche abbandonarci, sebbene si trasformi sicuramente col tempo e con l’età e, speriamo, diventi più complessa e più estesa. Infatti i cosiddetti criteri puramente estetici possono anche essere un alibi utile a una visione della vita predominante, per esempio quella maschile, poiché sottraggono facilmente i contenuti a un ulteriore dibattito, mascherandoli con l’affermazione di una validità artistica universale.

Al riguardo ecco un esempio tratto dall'arte figurativa. Quasi ogni importante galleria d’arte ha in esposizione un dipinto che rappresenta “Il ratto delle Sabine”. E in ogni visita guidata, così come nei cataloghi, si invita ad ammirare la composizione e ad apprezzare il contrasto di colori. Il punto è che noi osserviamo un atto di violenza perpetrato da uomini muscolosi su donne seminude; esseri umani recalcitranti portati via, contro la loro volontà, dai più forti. Ascolto, osservo, e mi domando imbarazzata: perché nessuno dice nulla sul contenuto? E so anche la risposta: perché il rapimento e lo stupro appartengono a un fatto mitico-storico e sono soltanto presenti affinché il pittore dimostri la sua bravura.

Da donne stiamo di fronte a questo sfarzo e a questa sontuosità, dove delle nostre pari sono umiliate a tal punto da essere ridotte a oggetti, e così reprimiamo la nostra angoscia per non compromettere il nostro senso artistico. A volte le vittime sono dipinte in modo tale che sembrano godere della loro umiliazione, una copertura che peggiora ulteriormente le cose. Non voglio affatto togliere il dipinto dalla galleria d’arte e permane il mio desiderio di essere edotta sulla sua perfezione tecnica; solo che vorrei porre, oltre a ciò, la questione del contenuto. É infatti palese che uomini e donne osservino un tale soggetto in maniera diversa e nutriamo legittimi dubbi quando gli esperti ci assicurano che il dipinto esprime solo in minima parte un desiderio di predominio erotico.

Qualcosa di simile avviene con la rappresentazione di atti di violenza e la loro ricezione in letteratura. George Tabori, vincitore del premio letterario ‘Georg Büchner’ per l’anno 1992, disse nel suo discorso di ringraziamento che le più belle storie d’amore a lui note sono ‘Otello’ e ‘Woyzeck'#. L’influente critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki ha rivelato in televisione la sua predilezione per la “storia d’amore” ‘Intrigo e amore’. Chi vorrebbe negare che, per tutti e tre i drammi citati, si tratti di capolavori letterari? Come potrebbe essere altrimenti se gli autori sono Shakespeare, Büchner e Schiller? Ma sono davvero le più belle storie d’amore? Difficilmente una donna le definirebbe così a un primo impatto. Infatti, in ognuna di esse, l’amata viene uccisa dall’amato, e in modi davvero brutali: strangolata da Otello, pugnalata da Woyzeck, avvelenata in Schiller.

Se volessi dire che le più belle storie d’amore che conosco sono ‘Pentesilea’ di Kleist, dove l’omonima eroina sbrana l’amato Achille come compensazione per l’atto sessuale, e ‘Giuditta’ di Hebbel, in cui l’omonima eroina mozza la testa a Oloferne dopo il rapporto sessuale: un lettore maschile non coglierebbe forse, e giustamente, con inquietudine il fatto che io definisca queste fascinazioni come belle storie d’amore?

Cosa accade qui? L’esaltazione o minimizzazione della violenza contro le donne nella letteratura comincia presto, per esempio con ‘Rosellina di brughiera’#. Si dovrebbe pensare che la rappresentazione simbolica di una brutale violenza carnale, messa in musica o no, non sia adatta a una lezione scolastica e non sia neanche da porre sullo stesso piano di autentici canti d’amore. E, che si tratti di Goethe o Schubert, l’ultima strofa è una scena di terrore solo velatamente addolcita:

            Doch der wilde Knabe brach‚
            's Röslein auf der Heiden.
            Röslein wehrte sich und stach
            Half ihm doch kein Weh und Ach
            Mußt‘ es eben leiden.#

La minimizzazione deriva dal fatto che il violentatore, e cioè un uomo adulto, o perlomeno sessualmente maturo, si presenta come un “rude ragazzo”; dal fatto che l’azione si compie simbolicamente su un fiore, benché siano intesi chiaramente un bellimbusto e una fanciulla più debole; e che nel ritornello canticchiato tra sé e sé


              Röslein, Röslein, Röslein rot,
              Röslein auf der Heiden. #

il terrore svanisce. La canzone è mendace perché rappresenta un crimine come se fosse ineluttabile e per giunta come una scena d’amore. Helke Sander, nel suo – discusso – documentario ‘(Be)Freier und Befreite’#, ha inserito un coro maschile che canta “Rosellina di brughiera”, inequivocabilmente e senza bisogno di commento, nel contesto degli stupri di massa della Seconda Guerra Mondiale. Una ragazza o una donna, per trovare carina questa canzone, deve rimuovere, più di quanto non convenga, la sua consapevolezza di essere umano, per non parlare poi dei suoi bisogni erotici.

Come impariamo a leggere? I primi libri per bambini sono piuttosto neutri e parlano di cani e gatti e della scoperta del mondo oggettivo e naturale. Tutti i bambini amano Winnie The Pooh, l’orso, e Bambi, il cerbiatto. Quanto più si avvicinano alla pubertà, e dunque quanto più si sviluppa così il loro erotismo, tanto più gli animi si differenziano in maschile e femminile. Qui è d’obbligo chiedersi che cosa sia frutto dell'educazione e cosa invece innato, quindi determinato biologicamente. Allo stato attuale della nostra società, nella quale ragazze e ragazzi vengono educati in maniera diversa, quindi anche con un altro orizzonte di aspettative, non possiamo affermare nulla di preciso sulle differenze delle loro predisposizioni naturali, ma solo avanzare delle ipotesi.

Una cosa è certa: c’è una letteratura per ragazze e una per ragazzi. Non è totalmente e fortemente separata, ma è più facile che ragazze leggano libri per ragazzi che viceversa. Una ragione è sicuramente la socializzazione. I ragazzi vengono derisi più facilmente dai loro coetanei se leggono ‘Pippi Calzelunge’ o ‘Heidi’, mentre le ragazze possono permettersi di essere viste con un volume di Karl May in mano. Al riguardo, sia in America che in Germania, si sono aggiunti, negli ultimi due decenni, romanzi che trattano esplicitamente dei problemi delle ragazze adolescenti, quindi mirano fin dal principio a un mercato esclusivamente femminile, cosa che si pone né a favore né contro la qualità di queste opere.

La seconda ragione, affine alla prima, è che noi donne impariamo a leggere tanto presto quanto l’altro sesso, anche nel caso in cui le persone che ci insegnano siano donne, a cominciare dalla mamma. Nella letteratura tramandata dalle donne, ossia nelle favole riportate oralmente, come ad esempio quelle raccontate da Dorothea Viemann ai fratelli Grimm, le ragazze hanno un ruolo relativamente attivo. Nelle scuole si è iniziato solo negli ultimi anni ad avere un po’ di riguardo per lo sviluppo della fiducia in sé stesse delle scolare. In fin dei conti imparano ancora a leggere così come leggono gli uomini. Non abbiamo alternative. Dalla prima ora di lezione di latino fino al seminario superiore di germanistica, viene preso in considerazione come materiale di lettura classico un preciso modo di agire e di pensiero maschile, un’erotica maschile e un’ambizione maschile, a cominciare dal ‘De bello gallico’ di Cesare fino a ‘Così parlò Zarathustra’ di Nietzsche e ‘Gatto e topo’ di Grass. L’insistente fallocentrismo delle opere appena citate è così palese che ci si dovrebbe subito domandare cosa abbiano da spartire con esso le scolare e le studentesse. Sicuramente meno che i lettori maschi. Invece si dà il più delle volte per scontato che per i ragazzi sia una perdita di tempo pensare come una ragazza, mentre diventa ovvio che le donne si debbano adattare. (Ora vi starete chiedendo quale potrebbe essere un esempio in latino che sia in grado di sostituire i testi bellicosi. Proprio questa riflessione è auspicabile. Ci sono naturalmente testi che, per entrambi i sessi, sono persino più piacevoli di quelli menzionati: scritti in latino da uomini, scritti in tedesco anche da donne.) Il problema del reperimento di materiale di lettura mette in discussione il canone. Quali testi scritti vengono riconosciuti come modelli e su quale base? Lo «status quo» cambia solo lentamente e non esige dai ragazzi lo sforzo di capire il punto di vista dell’altro sesso, che per le ragazze è invece una realtà consolidata. Quello che per loro è un arricchimento, diventa per i ragazzi una cosa inaccettabile, ma, se solo ci si rendesse conto, sarebbe un arricchimento anche per i maschi.

L’essere umano è in grado di apprendere. Noi donne impariamo a leggere come leggono gli uomini. Non è poi così difficile. I personaggi interessanti nei libri considerati di valore sono eroi maschili. Noi ci identifichiamo con loro e, leggendo, esaminiamo attentamente ogni figura femminile per poi metterci al riparo da ogni proposta di immedesimazione, e la lasciamo in disparte per lo più sospirante. Chi mai vorrebbe essere una ragazza sedotta o un’ammaliante seduttrice, un’adultera suicida oggetto del desiderio dal viso di bambola? Quello che desideriamo sono voli pindarici e avventure e ci dedichiamo di conseguenza alle figure maschili, nell’intento di estrarre la loro essenza umana. Diventiamo perciò delle attente lettrici, mentre la maggior parte dei lettori maschili non riesce a trarre vantaggio dai libri scritti da donne e in cui le donne interpretano il ruolo principale.

Permettetemi un aneddoto personale. Due anni fa pubblicai un’autobiografia nella quale accennai a questo problema. Molto serenamente considerai il mio libro come un libro per donne, ovvero misi in conto che l’avrebbero letto più donne che uomini, per il motivo che gli uomini raramente leggono libri di e su donne. Il libro ebbe un successo molto più grande di quanto potessi prevedere, e avevo ragione: il mio pubblico è prevalentemente femminile#. Ne sono venuta a conoscenza attraverso i librai, le lettere dei lettori e da vari incontri pubblici. Mi fa piacere, perché no? È doveroso sapere che il libro ha una linea di base femminista e vi si possono trovare i più severi rimproveri contro il patriarcato. I miei lettori maschili li hanno mandati giù senza brontolare. La lisca che a molti rimane conficcata in gola è invece una frase, che per questo motivo accludo tra virgolette, con cui mi rivolgo alle Leserinnen# – senza la I maiuscola nel mezzo della parola, oggi così consueta -#, quindi solo a donne: «chi conta di avere lettori maschi? Loro leggono solo quel che scrivono gli altri uomini»#. Come ho già detto, nel mio libro ci sono alcune affermazioni per le quali mi sarei aspettata delle obiezioni. Per esempio sostengo che le donne sappiano di più sul bene e sul male che gli uomini, i quali spesso banalizzano il bene e demonizzano il male#. Fino ad ora pressoché nessuno ha reagito a questi, pur sempre arditi, scherzi. Tuttavia quasi ogni uomo che abbia letto il libro mi si presenta con irruenza come smentita della mia abbozzata e relativamente innocua osservazione sul mio presunto pubblico di lettori. Essa viene ritenuta offensiva e ingiusta perché parte dal presupposto che la scelta dei libri che si leggono riguardi non solo la qualità letteraria ma anche l’inserimento sociale dei rispettivi autori. La mia osservazione dà per scontato che i libri di donne vengano liquidati spesso come mediocri e poco seri, ancor prima che uno li abbia letti. Il giudizio di qualità giunge soltanto in un secondo momento, è quindi un pregiudizio. Analogamente un modo di pensare maschile classifica le amicizie tra uomini come alleanze, mentre le amicizie tra donne come “due chiacchiere e un caffè”, e valuta similmente le rispettive elaborazioni letterarie. Di rado è messo in discussione il fatto che sia consuetudine identificare il genere maschile con il genere umano in senso lato e riconoscere le donne solo come gregari. Eppure, dando voce a questo fatto, ho respinto totalmente la sua validità e, poiché sembravo compiacermi di un pubblico prevalentemente femminile, avevo per di più messo in dubbio la superiorità di un pubblico maschile. Non riesco a spiegarmi diversamente lo sdegno che ho incontrato.

Ralph Ellison, il famoso autore afroamericano di ‘Invisible man’, deceduto di recente#, scrisse che in gioventù aveva recepito il romanzo di Mark Twain ‘Le avventure di Huckleberry Finn’ dal punto di vista dell’io-narratore bianco Huck e certo non da quello dello schiavo fuggitivo Nigger Jim. Difatti si tratta di una figura marginale, ridotta e quasi tremolante, che non può essere fonte di ispirazione, mentre l’altro, il bianco, è l’eroe e l’avventuriero. In modo analogo la lettrice si interessa alle argomentazioni di Amleto sulla morte e sui genitori, al dubbio e alle tentazioni di Faust, ma si interessa solo con un leggero (oppure profondo) disagio all’abbandono di Gretchen e di Ofelia, alla morte e alla pazzia di entrambe. Forse anche Ellison, analizzando la figura di Nigger Jim, ha incontrato questa difficoltà, e lo stesso vale per la ricezione di questo gruppo di figure femminili appena citate, che per e tramite i loro uomini devono morire prematuramente e in modo crudele. É questo disagio che manca nei lettori maschili, che accettano tali figure femminili piuttosto come una conferma del proprio valore, riservandogli l’indulgenza della compassione e per questo le apprezzano.

Noi che abbiamo imparato a leggere come uomini, soffochiamo il disagio perché non sappiamo esattamente cosa farne. In fondo vorremmo dire: «Noi non siamo così, le cose potrebbero andare anche diversamente.» In realtà diciamo spesso: «Ci immedesimiamo negli eroi, quindi siamo come loro» - eppure sappiamo che non lo siamo. Soprattutto impariamo a non dare un giudizio al disprezzo, con il quale in letteratura sono spesso introdotte le figure femminili (inizia con nei modi di dire del tipo «quella cosuccia».) E ciò lo considero un errore, poiché il confronto con la rabbia è più utile che l’accettazione passiva.

Sì, però pensate ora che la grande letteratura tratta tuttavia della condizione umana in generale, di cui fanno parte entrambi i sessi. Addirittura io stessa avrei detto qualcosa di simile in relazione all’Amleto e al Faust, prima di criticare l’implicita identificazione del «genere maschile» con il «genere umano». In un tedesco corretto ed elegante le donne e gli uomini sono esseri umani in ugual misura, mentre in inglese come in francese esiste una sola parola per entrambi: uomo ed essere umano#. Quando a dieci anni lessi ‘Inno alla gioia’ di Schiller, mi sentii esclusa dai versi nei quali tutti si sarebbero dovuti sentire inclusi. Ecco che in un primo momento l’opera diceva: «Alle Menschen werden Brüder»# . Veramente, pensai, si dovrebbe dire “Geschwister”# se sono intese anche le donne. Tuttavia scusai il poeta: con “Geschwister” non si trova così facilmente una rima, “Geschwister” non è poetico. E va bene allora, “Brüder”. Invece poi lessi:

        Wem der große Wurf gelungen
        Eines Freundes Freund zu sein,
        Wer ein holdes Weib errungen
        Mische seinen Jubel ein.#

Pensai che, tutt’al più in un lontano futuro, sarei potuta diventare una donna leggiadra#, sebbene questa prospettiva non mi apparisse certamente auspicabile. Dato che io, per mia natura, non potrei mai essere in grado di conquistare una donna leggiadra, avrei provveduto al massimo a rallegrare un uomo. Malgrado ciò il poeta sembrava negarmi la condivisione dello stesso sentimento di gioia, e questo nel suo inno di pacificazione esteso a tutta l’umanità. Evidentemente non potevo essere un essere umano, soltanto la donna di un essere umano. Mi resi conto più tardi di quanto fosse stata infantile una reazione di questo genere di fronte a una grande poesia. Dovetti diventare adulta per riconoscere la sua spontanea correttezza.

A questo punto è comunque doveroso porre in salvo i meriti di Schiller. Nella mia cerchia di germanisti è un luogo comune affermare che Schiller non capiva nulla delle donne. Si afferma ciò come se le donne fossero una specie animale con la quale si sa relazionare o no, benché alcune delle figure principali dei grandi drammi di Schiller siano eroi femminili. La contraddizione si spiega col fatto che Schiller rappresenti le sue donne più straordinarie come degli esseri umani che solo per inciso sono donne. Dunque sono persone che, non in modo costante ma solo a volte, vengono definite esseri umani, i quali, oltre alle loro relazioni amorose, hanno anche solitamente un rapporto con Dio, con i pensieri, con gli ideali. (Per questo ho detto di proposito “eroi femminili” e non “eroine”, in modo da fare una distinzione tra i ruoli femminili, che sono dipendenti dai più grandi ruoli maschili, e quelli che esigono dal pubblico un interesse a sé stante.) Ciò è talmente inconsueto nella letteratura tedesca da essere percepito come poco femminile#. Resta il fatto che solo le scene d’amore di Schiller non sono propriamente affascinanti, ma si tratta comunque di donne che sono solo casualmente oggetti di piacere oppure scelgono loro stesse di esserlo. Si ridicolizzano volentieri anche testi dove Schiller tratta il bisogno di indipendenza delle donne in un modo del tutto moderno, come per esempio nel passo finale spesso e torto deriso di “Wilhelm Tell”. Lì, con queste parole, una giovane nobile sceglie il suo futuro consorte senza la mediazione dei genitori o del tutore:

        So reich’ich diesem Jüngling meine Rechte,
        Die freie Schweizerin dem freien Mann.#

E lui dopo:

        Und frei erklär’ ich alle meine Knechte.#

I canzonatori sono rimasti incantati dalla ‘libera ragazza svizzera’. Tuttavia il senso di questa ideazione dei coniugi posti sullo stesso piano e di un’abrogata servitù della gleba è veramente il messaggio che il matrimonio può costituire una schiavitù per la donna, ma non deve esserlo per forza. Un moderno approccio del più intellettuale dei nostri autori classici. Lo leggo, sento di appartenervi, divento empaticamente una ragazza svizzera, come Kennedy diventò berlinese.

A Göttingen, la città di Lichtenberg, sentii una volta un’eccellente conferenza sull’intelletto secondo Lichtenberg, sul suo modello di pensiero e le proposte di dubbio del grande aforista. Ebbene, il relatore arrivò ad un punto dove spiegò che Lichtenberg classificava la sua cuoca più o meno come l’individuo meno dotato di raziocinio nella città di Göttingen. L’oratore speculò sul fatto che poteva essersi trattato di una cuoca particolarmente bella, per poi passare alla descrizione di altre creature dotate di raziocinio con le quali non mi sentivo più alla pari, anche se fino a quel momento avevo seguito la conferenza attentamente con approvazione e immedesimazione. Insomma, la storia della cuoca era stata l’unico cenno a una donna in questa conferenza e io appartengo al genere della cuoca, che si trova nello scalino più basso della gerarchia delle menti geniali. Che Lichtenberg abbia così sottostimato il sesso femminile lo si deve accettare, perciò, se oggi se ne parla, credo si debba tematizzare e problematizzare il suo atteggiamento#. Il collega fece il contrario, sviando l’attenzione all’aspetto esteriore. Se si fosse trattato di ebrei, dunque del noto antisemitismo di Lichtenberg, allora l’oratore avrebbe reagito con più delicatezza, e io da ebrea mi sarei sentita meglio. Un discredito come donna mi colpisce quanto un discredito come ebrea, sia che abbia luogo in strada, nella letteratura o nei testi di critica redatti dai colleghi. Questo tanto più nel momento in cui sono esposta, nella Germania di oggi, più da una parte che dell’altra.

Ho imparato tardi ad ammettere con me stessa il turbamento che, come donna, provo mentre leggo o ascolto. Questo non significa che io rifiuti tutta la letteratura in cui compaiono tracce di misoginia. Non me lo posso permettere. Al contrario: nella maggior parte dei casi mi rassegno poiché, come nel caso dell’antisemitismo, mi sfuggirebbero troppe cose se accantonassi tutte le opere nelle quali vengono giudicati in modo sprezzante gli ebrei, ovvero le donne. Solo non accetto più senza spirito critico ciò che necessita di critica.

Indubbiamente le donne che amano leggere imparano anche, essendo minoranze, a colmare prima e in fretta la distanza che separa le proprie esperienze di vita da quelle di autori bianchi, cristiani e maschi; per cui c’è sempre un dislivello da superare, un dispendio di energia che agli uomini in questi termini non viene richiesto.

Per caso, ma con un sospiro di sollievo, giungiamo ai libri nei quali le donne non ricoprono solo il ruolo che le viene assegnato nella vita a fianco di un uomo, ma il ruolo che hanno nella loro stessa vita, escludendo da questa riflessione# la letteratura di consumo e quella per ragazzi (che, naturalmente, per nessuna ragione metto sullo stesso piano.) Soltanto allora ci rendiamo conto quanto sia più facile questo tipo di lettura e quanto ci si possa rapportare ad essa più direttamente e in modo più naturale quando non si ha bisogno del sopracitato salto di adattamento e di empatia. Laddove lo sviluppo intellettuale delle donne non viene integrato con la letteratura primaria e critica, che scaturisce da o corrisponde al proprio essere o alle proprie circostanze di vita, allora i compagni di studio e colleghi maschi hanno un vantaggio, cioè un accesso più diretto ai testi. E le studentesse corrono il rischio di diventare o titubanti o eccentriche nel loro pensiero critico.

Poiché l’immedesimazione delle lettrici nelle problematiche maschili è riconosciuta come una virtù, d’altro canto ci sia aspetta solo raramente un simile sforzo dai lettori – e il canone letterario è comunque l’opera di uomini -, allora persino delle scrittrici accreditate, sulle cui competenze non sorge alcun dubbio, vengono studiate a scuola e all’università in misura limitata. La disputa per il canone dura già da alcuni anni, ma non si è ancora giunti a una conclusione. Provate a chiedere a dei lettori tedeschi colti di fare al volo il nome di tre o quattro poesie di Droste-Hülsoff. Tutti hanno sentito parlare qui da noi di ‘Trama d’infanzia’ di Christa Wolf, che ha per di più influenzato profondamente un vasto pubblico di lettrici, tra le quali comunque mi annovero. E tanto più stupisce quanti pochi uomini che leggono romanzi conoscano davvero il libro. (Questo dato emerse tra l’altro piuttosto chiaramente nel dibattito pubblico sulla novella di Wolf ‘Cosa rimane’). Ciò scaturisce in parte dal fatto che gli uomini non si sono svincolati del tutto dall’idea infantile che sia poco virile leggere “libri per ragazze”. L’autorità della donna che scrive viene messa in dubbio, consapevolmente o inconsapevolmente. (Un autore impone ipso facto ai suoi lettori la sua autorità.) A seguito di alcuni esperimenti condotti in America, è stato osservato che viene data più credibilità alle informazioni che provengono da uomini che non agli stessi fatti riferiti da donne (cosa che noi sapevamo già per esperienza di vita.) Osservo volentieri con quali tipologie di libri si è più propensi a farsi vedere in pubblico e mi accorgo che in treno, in aereo, in spiaggia, le donne si immergono nelle letture più disparate: libri di donne o di uomini. Gli uomini leggono Science-Fiction oppure le memorie di statisti.

Rimane aperto il quesito in che misura le differenze nelle nostre abitudini di lettura si possano ricondurre alle naturali differenze tra i sessi, quindi se siano, per così dire, insormontabili oppure in parte superabili. Di gran lunga più che nella letteratura colta, si incontra un notevole divario di interessi tra il maschile e il femminile nell’ambito della letteratura per ragazzi e di intrattenimento. Così tanto da farmi supporre che, persino a parità di posizione e di diritti, le donne e gli uomini leggerebbero comunque in un altro modo e altre cose. In entrambi i casi, nella letteratura mediocre come in quella per ragazzi, le differenze vengono colte in modo spregiudicato dal commercio librario, dall’editoria e dalla critica, e il mercato si regola di conseguenza. Storie d’amore per le ragazze in piena adolescenza, questo è chiaro. Lo è meno la predilezione delle bambine in età pre-adolescenziale per i libri sui cavalli. In ogni caso la richiesta viene soddisfatta, non sono necessarie riflessioni psico-teoretiche, il mercato è pragmatico. I rapporti di mercato che si aggirano intorno alla letteratura mediocre degli adulti sono anch’essi palesi e, come nell’enigmatica lettura di cavalli della dodicenne, le ragioni non sono sempre intuibili. I libri sulla guerra e sullo sport di contatto sono scritti principalmente per uomini. Chiaro. Più interessante è il caso della Science-fiction, un genere letterario che non deve essere per forza banale e che anche le donne leggono e scrivono, ma principalmente sotto forma di utopie e distopie, e quindi libri che trattano di positiva o negativa coesistenza umana. Nella variante di questo genere prediletta dagli uomini, le macchine e le invenzioni hanno il ruolo principale e la maggior parte delle lettrici trova questo tipo di libri noiosi da morire. Che questa predilezione sia solo indotta? Oppure qui ci imbattiamo in una vera differenza? Anche se le motivazioni rimangono ignote, in ogni caso gli operatori del settore librario ne sono perfettamente consapevoli, come emerge dalle strategie pubblicitarie#. Tuttavia la critica della letteratura più colta e la scienza letteraria tradizionale chiudono gli occhi davanti alle idee del mercato librario e danno per scontato che ci sia un lettore ideale asessuato che, ad uno sguardo più attento, si rivela essere sempre un uomo. Come ho detto all’inizio, con questo tipo di idee la teoria della ricezione ha per lo più abbandonato questi concetti di imparzialità. Tuttavia lo sguardo femminile sulle opere classiche, sempre che le lettrici si siano emancipate a sufficienza per svilupparlo, rimane comunque subordinato alla critica affermata, ovvero maschile, che non lo prende quasi mai in considerazione. In altre parole la teoria e la critica letteraria femminista non sono diventate fino ad ora materia obbligatoria, neppure in America.

La questione del contenuto, di cui ci siamo occupati principalmente finora, subisce una forte inversione di marcia proprio dalla discussione inerente alla pornografia. La pornografia è la forma letteraria dove la differenza biologica dei sessi dovrebbe emergere più chiaramente, poiché è quella letteratura che maggiormente accentua la corporeità. La pornografia verrà perciò sempre letta in ogni caso diversamente sia da uomini che da donne. É il caso estremo. Nelle reazioni alle aggressive fantasie erotiche che caratterizzano questo genere, dovrebbero emergere in modo più chiaro i differenti modi di leggere. Ciononostante le reazioni non appaiono da nessun’altra parte così confuse come qua.

Questo genere di lettura malvisto, a volte proibito come anche molto diffuso e letto volentieri, scatena oggi la discussione più aspra. Proprio qui, dove il piacere della lettura dovrebbe essere limitato all’appagamento dei desideri personali, l’interesse muta improvvisamente e il dibattito su questi Privatissima si fa altamente politico.

La discussione sul post-modernismo mette bene in rilievo l’aspetto emancipatore della pornografia. Si dice quindi che si tratti di un’arte narrativa che non solo non tiene conto dei costumi morali-borghesi, ma oltrepassa in gran parte le strutture narrative tradizionali e di conseguenza è molto utile in letteratura ai problemi decostruzionistici degli innovatori linguistici. La parola chiave in questo dibattito è “trasgressione” - infrazione, eccesso – insieme con lo smembramento dell’individuo nelle sue funzioni corporali#. Da questo punto di vista si mettono da parte gli aspetti della pornografia riferiti alla realtà e si trattano le scene comunemente ritenute scandalose come metafore per una emancipazione più astratta, soprattutto linguistica. (Dunque il sesso come metafora per la lingua, non il contrario.) Tutto ciò funziona meglio in quelle letterature che per tradizione hanno una filone erotico, come nella letteratura francese, che va dal Marchese de Sade fino a Georges Bataille, che oggi fa molto parlare di sé. In tedesco questa tradizione appare poco o niente (un’eccezione sarebbe forse la “Lucinde” di Friedrich Schlegel), oppure esiste giusto su scala mediocre, come libri da quattro soldi. Il Marchese de Sade compare però anche in un’opera tedesca, ossia nel famoso dramma di Peter Weiss, che porta il suo nome insieme a quello del rivoluzionario Marat#, come quintessenza di una particolare sorta di radicalismo che è seriamente in costante aumento. Ciò non è difficile da comprendere se paragoniamo come espressione linguistica un romanzo di Sade con la già menzionata “Rosellina di brughiera”, per quanto Goethe/Schubert mascherino la violenza del contenuto con una forma spiccatamente tradizionale fino a nasconderla con il bon-ton. Di contro Sade, o anche Henry Miller, ci provocano uno shock dopo l’altro e dobbiamo vedere come affrontarlo. Ci riusciamo quando siamo in grado di mantenere il confine tra realtà e fantasia, tra identificazione e distanza mediata attraverso l’arte (o quantomeno artificiosità) dell’opera. Come d’altronde lo manteniamo ogni volta che andiamo a teatro. La morte recitata ci commuove, la reale morte di un attore sul palcoscenico ci spaventerebbe. Ma ritengo che il confine sia fluttuante, e non hanno così torto coloro che mettono in guardia prima dei possibili danni di una rappresentazione eccessivamente intensa di un atto di violenza. Rimane un problema, che non si può esaminare frettolosamente e che presenta aspetti sia estetici che morali.

Siamo ritornati per vie traverse alla guida del museo citata all’inizio del libro, che ci spiega con i termini tecnici dell’arte pittorica un dipinto raffigurante ‘Il ratto delle Sabine’. Quei critici che sottolineano il momento radicale e dunque avanguardista della pornografia, si lasciano sfuggire o ignorano la sensazione di minaccia che prende d’assalto le lettrici davanti a testi o dipinti che – quasi sempre – hanno come tema la riduzione ad oggetto, se non lesione, del corpo femminile. Un tale fascino erotico, benché accompagnato dal disagio, può risultare gradevole anche alle donne. ‘Il ratto delle Sabine’ può soddisfare fantasie masochistiche quanto sadiche e tutto ciò che si colloca tra questi due. Il contesto mitologico rende quindi possibile uno sguardo voluttuoso dell’opera, il quale lascerebbe spazio all’orrore se la scena fosse tratta dal nostro presente, per esempio se fosse un’illustrazione del notiziario del giorno.

Siamo arrivati alla controversa questione se possa esistere comunque una pornografia femminile oppure no. Nel movimento femminista ci sono voci che negano semplicemente questa possibilità, e altre che generalmente appoggiano le opere di carattere erotico per le donne e che vogliono anche scriverle. In entrambi i casi l’interesse è politico, nel senso di emancipatore del ruolo femminile. La pornografia, sia dal lato conservatore che da quello progressista, viene tanto attaccata quanto difesa: innanzitutto giudicata immorale come sempre, ma oggigiorno anche respinta in quanto incentiva la violenza contro le donne; confermata come liberazione attraverso la fantasia e protetta da eventuali limitazioni della libertà di stampa.

Il paradosso di questa politicizzazione del porno-dibattito è che le generalizzazioni sugli effetti di questi scritti (o per quanto mi riguarda anche film) sono difficili. La lettura pornografica è il più soggettivo, il più privato di tutti i piaceri estetici. Se qualcuno dicesse che un certo libro pornografico lo annoia, o che tutti i film pornografici la annoiano, allora lui/lei si esprimono su un altro piano rispetto all’affermazione che “Tarda estate” di Stifter è a tratti noioso. Nell’ultimo caso si può accettare che la dettagliata descrizione di un idillico paesaggio montano o floreale necessiti di una maggiore dinamica dell'azione; nel primo caso il lettore vuol dire semplicemente che la scena descritta non eccita né lui né lei personalmente. Io sono in grado di far conoscere all’annoiato lettore di Stifter le bellezze del libro, mentre richiamo l’attenzione su di loro. A qualcuno che mi vuole far conoscere un libro pornografico, che non mi fa nessuna impressione, posso solo dire: funziona per te e non per me.

L’odierno dibattito sulla pornografia si trascina tutta la zavorra degli squilibri sociali tra donne e uomini, per non parlare di un pessimismo culturale che vi nota solo segni di decadenza e di depravazione. Perciò non si permette neanche delle conclusioni, che contribuirebbero maggiormente al nostro tema che a un successivo, categorico Sì, le donne leggono in un altro modo. Tuttavia ritengo che sia proprio nella ristrettezza di genere di questi testi e nei dibattiti che ne scaturiscono che si vanno delineando i profili della lettura erotica, che, anche nella nostra società, rivestono un ruolo non indifferente nei nostri approcci con la letteratura colta. Sappiamo dal tempo di Sigmund Freud che la creatività scaturisce da un’erotica sublimata. E sappiamo dalla moderna teoria della letteratura che la lettura non è solo processo passivo, bensì diventa creatività. Se è vero che anche come lettori e lettrici adulti ed esperti non sfuggiamo al principio di identificazione, allora il fulcro o anche il dio di una tale lettura impegnata è l’Eros. Per questa ragione in parte si sovrappone e si scinde in maschile e in femminile e così sarà anche, a mio parere, nella progressiva uguaglianza dei ruoli sociali. In quest'ambito si trovano le differenze che permarrano anche quando saranno state superate quelle inutili riconducibili alla diversità educativa, ad ogni modo non ancora risolta. Nel frattempo dobbiamo conoscere meglio queste differenze al fine di valutarle adeguatamente nella nostra estetica.

E forse è anche falso il titolo di questo saggio, perché accusa ingiustamente la correttezza della standardizzazione maschile; ipotizza che il santuario della gioia, che in Schiller ha unito tutti gli uomini, sia piuttosto un Rotary Club di “fratelli”, nel quale le donne hanno posto solo come “donne leggiadre” conquistate da uomini. “Gli uomini leggono diversamente” sarebbe una proposta alternativa per il titolo. La stessa tesi nelle vesti dell’antitesi. La sintesi per ora tarda ad arrivare.